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Induzione al parto con la fettuccia

 
Indurre il parto sta diventando sempre più una pratica di uso comune, anche quando non ce ne sarebbe reale bisogno. Con l'induzione al parto, la gestante viene sottoposta a trattamenti farmacologici che stimolano le contrazioni uterine e, appunto, inducono il travaglio. Le pratiche di induzione sono svariate, ma la più innocua è quella mediante la fettuccia, o benderella. Si tratta di inserire in vagina una fettuccia appunto, ossia una specie di assorbente del diametro di circa 15 cm. Questa benderella, una volta posizionata, riesce a liberare, gradualmente, piccole dosi di prostaglandine. Questi ultimi sono dei componenti chimici capaci di ridurre i processi infiammatori, di stimolare la muscolatura liscia e di favorire le contrazioni uterine. Altri tipi di induzione richiedono, invece, metodologie più invasive, come ad esempio il gel a base di prostaglandine. Questo metodo, ormai per fortuna poco usato, favorisce contrazioni uterine molto forti, con possibili conseguenze negative sul nascituro. Anche la somministrazione di ossitocina per via endovenosa aumenta le contrazioni e la dilatazione ma deve essere usata con parsimonia in quanto causa forti dolori durante il travaglio. In realtà l'induzione al parto dovrebbe essere una tecnica riservata solo a determinati casi, e non applicabile a tutte le partorienti. Essa, infatti, modifica il naturale decorso del parto e può aumentare il rischio di complicazioni nel neonato. Il parto indotto dovrebbe essere applicato solamente quando la gravidanza è oltre il termine di 41 settimane oppure se si presentano patologie gravi come il diabete gestazionale e l'ipertensione.
 
 
 
 

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